Irish Dodo

Ricordo i tempi in cui viaggiavo da sola come i momenti più belli. Il fatto di non avere con me amici, parenti, innamorati o innamorandi, nessuno su cui contare, per così dire, mi dava ogni volta la possibilità di scoprire qualcosa di me, di ritrovarmi anche se non sapevo di essere persa, di conoscere il mondo in un modo nuovo. Esplorare da solo posti che non conosci – e a volte anche quelli che conosci – ti obbliga ad aprirti alle persone che incontri lungo il cammino, alle tradizioni, ai luoghi.

Queste cose bellissime accadevano nell’epoca AD, Ante-Dodo.
Poi un giorno ho aperto la porta e, come la sventurata che rispose di manzoniana memoria, la mia vita non è stata più la stessa. E nemmeno i miei viaggi.
Adottando il pennuto – ebbene sì, ammettiamolo: l’ho adottato – mi sono impegnata a prendermi cura di lui, il che significa portarmelo anche dietro nei viaggi. Ora, fossi una persona che si sposta una volta ogni tanto, non ci sarebbero grossi problemi. Caricarlo in macchina e portarlo a fare le ferie in Maremma o a Varcaturo sarebbe pure fattibile.
Purtroppo o per fortuna, un po’ per lavoro un po’ per Wanderlust, viaggio varie volte in un anno, spesso in aereo. E mo’?

Quest’anno, ben prima che la mia vita si riempisse di piume peggio della giornata di una Drag Queen, avevo progettato un viaggio nell’Isola di Smeraldo. Sognavo l’Irlanda da anni, ma sapevo che ne avrei visto una parte piccolina e che sarei dovuta tornarci: sarebbe stato un assaggio, ma già pregustavo il sapore di birra scura e trifoglio, di fish&chips e salsedine, di Irish breakfast e di Bono. Sì, pregustavo anche lui, convinta che lo avrei incrociato per caso tra le vie di Dublino e che mi avrebbe invitata ad andare in tour con gli U2 come lucida-piroli.

Biblioteca del Trinity College – Dublino. Per evitare danni, ho stordito il dodo con la camomilla prima di entrare.

Ma, SPOILER ALERT: credo che gli U2 abbiano già chi lucida i piroli, e alla fine non sono in tour con loro. Eppure ci sono andata così vicino…
Saltato il sogno di una vita, ho cercato di godermi il mio bel viaggio, il primo dell’epoca PD, Post-Dodo.
Non andrò nei dettagli perché, credetemi, ci sono cose che voi non volete sapere e che io voglio dimenticare. Ma potrete intuire com’è l’Irlanda vista con un dodo, leggendo il breve elenco sotto, che ho chiamato “10 buoni motivi per viaggiare senza dodi:

  1. Ogni volta che mangiate fish&chips, il vostro dodo da compagnia vi osserverà disgustato, pensando che lui no, non avrebbe rovinato del pesce cuocendolo, ma lo avrebbe mangiato fresco e piuttosto vivo. Sempre che il pesce gli fosse saltato in bocca, giacché non sa manco pescare;
  2. Non importa quante volte gli direte di mantenere il decoro nei musei: lui continuerà caparbiamente a ignorarvi, cercando di mangiare gli arazzi, annusando le statue, e mostrando il sedere ai quadri che SECONDO LUI lo guardano male. E per quanto gli oggetti preziosi siano in alto, lui ci arriverà;
  3. Le scogliere irlandesi sono notoriamente pericolose. Se viaggiate con Dodo Magoo, lo sono ancora di più. Lui non guarda dove mette le zampe, vaga sereno, a caso. Munitevi di un guinzaglio con contrappeso;
  4. Flirtare con un dodo al seguito è impossibile. Non per la forma – che gli altri vedono canina – ma per l’immensa ficcanasaggine. Immaginate uno scambio di sguardi con un interessante e bell’irlandese. Vi piacete, vi sorridete da lontano, ammiccate. Voi già immaginate i vostri bellissimi figli con le lentiggini e gli occhi verdi, Saoirse e Kieran. Il dodo, con il suo tipico sguardo intelligente e gli occhi a palla, appare tra voi e lui. Magia finita, addio figli, sipario;
  5. Il pennuto compra molti souvenir, che poi IO devo pagare e portare in valigia. È un po’ gazzaladra e un po’ snaso, solo più ebete. Ora nel mio salotto abbiamo tre pecore irlandesi di vetroresina, una lira portasale e un leprecauno alto un metro;
  6. Il fac simile di tacchino non passa per nulla inosservato, almeno se viaggiate in posti freddi. Ho girato l’Irlanda col dodo che pensava di essere al Polo e i passanti che mi ripetevano checcarinoilsuocaneconsciarpacappelloemantello. Una maschera e facevamo Zorro. Aspetto di andare al mare per vederlo con le pinne, il fucile e gli occhiali;
  7. Il dodo non regge l’alcool. Sia chiaro, non lo avrei mai fatto bere! Ho semplicemente ordinato una Guinness per me, l’ha annusata ed è crollato ubriaco. Mi è toccato portarlo in hotel sulle spalle.
  8. L’essere beccodotato ha una predilezione per i gabbiani, con cui cerca di fare amicizia. I gabbiani, notoriamente bastardi, non hanno una predilezione per lui. In mezzo, io che cerco di mediare. Credo esistano prove fotografiche, che brucerò;
  9. L’ossigeno dell’aereo ha sui dodo l’effetto del gas esilarante sugli umani. Quando siamo atterrati e me l’hanno riportato, rideva. O almeno credo;
  10. Il vostro dodo vorrà fare le escursioni con voi, ma non darà retta alla guida e voi dovrete dare retta a lui per evitare che si uccida per errore. Cadendo a faccia in giù in una pozzanghera, ad esempio.

Fate come me, visitate anche voi la bellissima Irlanda: mangiate del buon burro locale, bevete té a profusione – o birra, se è la vostra bevanda -, respirate aria pulita e passeggiate nel verde. E cercate di vendere il dodo a un locale allevatore di pecore, PRIMA che si accorga che non bela.

Un dodo per amico

(Si consiglia di leggere con musica allegra e solare. Oppure fate un po’ come ve pare).

Il dodo e io siamo stati assenti per un po’, ma non è dipeso da eventi catastrofici. Certo, si poteva pensare che avessero arrestato me per detenzione illegale di pennuto estinto e deportato lui nell’Area 51 per farci gli esperimenti (a tal proposito, vi informo che il 19/09/2019 ci sarà un’invasione della stessa. Così, nel caso vi foste persi l’evento facebook). In realtà, molto semplicemente, sono solita andare in ferie come tutti quelli che lavorano e si ostinano a voler avere una vita; l’insieme di piume sicuramente non lo potevo lasciare a casa da solo, quindi ho dovuto cominciare a progettare le vacanze.

Quando a giugno ho prenotato, il dodo non era ancora nella mia vita. Arriva agosto e con esso la crisi improvvisa: potrà volare(!)? Si considera bagaglio da stiva, merce da dichiarare, animale da compagnia, animale selvatico, suppellettile, o accompagnatore? E, prima ancora di arrivare a questo, cosa penseranno le persone? Ammesso che possano vederlo, intendiamoci, perché continuo a pensare che sia un parto della mia immaginazione.

“Coso, ma avrai mica il potere dell’invisibilità?”
Mi guarda. Lo guardo. ‘Sta storia è straziante, ogni volta. Mai che rispondesse subito, fosse anche con un gesto! Andiamo avanti così per interminabili minuti, come sempre, mentre i dinosauri resuscitano e si estinguono di nuovo.
Senza dire nulla, sbuffa (ormai si crede più intelligente di me, lo so) e si ferma davanti alla porta. Quando vede che non la apro, si gira e mi guarda, con quell’espressione tanto simile a quella della mia migliore amica quando mi disapprova. La faccina sic, quella che usavo anche io ai tempi di MSN, qualcosa del genere  ¬_¬
Capisco che la sua soluzione è uscire, andare tra la gente. Come funziona, dovrei usare un guinzaglio? Legarlo con lo spago delle braciole, che magari mi scappa? Metterlo nello zainetto che si usa per portare i bambin… no, quello no. Sai che mal di schiena, con questo ciccione appeso!
Però certo, portarlo così tra la gente mi sembra un po’ prematuro, non sappiamo come potrebbero prenderla, né come potrebbe reagire lui!

Stanco di aspettare, il dodo si appende alla maniglia; per evitare di rimetterci la maniglia, la porta e il pollo, decido di assecondarlo.
“Allora, io fuori ti ci porto, ma devi stare attaccato a me, capito? Fammi un cenno con la testa, qualcosa per capire che hai capito!”. Mi fissa. Ha capito, non so come ma lo so.
“Però guarda, non andiamo in giro. Scendiamo dal portiere, al massimo all’edicola, e vediamo che succede. Tu non fare cose bizzarre, cerca di essere sobrio e silenzioso!”. Mi risponde agitando le piume della coda, come a dire che lui sobrio lo è sempre. Credo sia un gestaccio in dodese, prendo un appunto mentale.

Saluto il portiere, scambio qualche parola mentre raccolgo la posta, un occhio fisso sul pollastro che annusa le piante e si fissa come sempre su quelle finte. Prima o poi devo capire com’è che funziona questa passione per le piante di plastica. Il portiere lo ignora, proprio come se non lo vedesse. Bene, questa è una buona cosa. Facciamo la prova del nove dall’edicolante, giusto per stare tranquilli.

Diapositiva di donna – senza dodo – all’edicola. Purtroppo non sono io.
Credits: pixabay.

“Salve! Mi dia Vogue e la Settimana Enigmistica, per favore”. Uno sguardo di disapprovazione mi fulmina, non ho capito per quale dei due acquisti.
“Fammi capire, tu che leggi nel tempo libero? Airone???”
“Scusi, che ha detto?”
“No, no, mi perdoni, parlavo tra me e me”
Pago, prendo le riviste, prendo il dodo, e mi avvio verso casa. Bene, nessuno lo vede: basterà evitare di parlargli in pubblico ed è fatta.

All’improvviso vedo una bambina correre nella nostra direzione, armata di intenzioni poco chiare: ALLARME! ALLARME!
“Uuuuuuh, ma che carino il tuo animale!!! Si fa accarezzare?”
Prima che io possa rispondere inizia a coccolarlo, mentre la madre la rincorre chiedendo scusa. E ora, come glielo spiego?
“Ma che bello che è, guarda come gli piacciono le coccole, mamma!” e lo accarezza. Lui fa le fusa allegro; io, muta, aspetto la fine.

“Ma che bello, il suo cane. Lo ha da molto?”
“Il mio… cane? Ehm… no, è con me solo da poche settimane, è un trovatello.”
“Oh, che cosa dolce. Vieni, Greta, andiamo e lasciamo in pace la signorina. Buona giornata, eh!”
Si allontana con la bambina, che passandomi accanto mi fa “Lo so che non è un cane, ma è proprio bello! Prenditene cura, eh!”
Torniamo a casa in silenzio, lui che saltella tronfio perché una bimba lo ha appena coccolato, io che fisso il marciapiedi e rifletto. Entriamo in casa così, uno che guarda in cielo e un’altra che si fissa i piedi, come due creature assurdamente diverse che il destino ha abbinato per chissà quale scherzo.

“Quindi, se ho capito bene, sei tendenzialmente invisibile. I bambini però ti vedono. E la signora allora? Che aveva di diverso?”
Sbuffa. Mi fa segno di chiudere gli occhi e mettermi nella posizione dell’albero, come l’altra volta. Ora sbuffo io, ma eseguo per non beccarmi un’altra occhiataccia.

“Certo che te, per capire le cose… Gli adulti in genere non mi vedono perché non vogliono vedermi; i bambini sono diversi, loro mi vedono. Il punto è che se un bambino attira l’attenzione su di me, divento visibile anche per gli adulti intorno. Ma siccome gli adulti non sanno sognare…”
“… non ti vedono come un dodo. Chiaro. Molto poetica come cosa, ma il discorso fila. E, senti, io allora com’è che ti vedo?”
Non risponde. Apro gli occhi ed eccolo che è tornato a mordere la benedetta pianta finta sul davanzale. Mi sa che per oggi ho saputo abbastanza.

Devo partire per le ferie e ho con me un dodo parzialmente invisibile, parzialmente intelligente, parzialmente telepatico e parzialmente scremato. Sarà una lunga, lunga, lunga estate.

Living with a dodo I

È passata circa una settimana da quando la creatura polliforme è apparsa sul mio zerbino, dritto dal passato, in piume e ossa. Questi giorni sono stati una continua montagna russa tra “lo tengo”, “lo porto al canile più vicino e lo lascio lì”, “è sofficiffimo, voglio che viva con me per sempre” e “potrei portarlo in un bosco e scappare via”. A mia discolpa va detto che:

  1. è da un pezzo che non condivido la casa con altri esseri che occupino più di un vaso. Non credo che il dodo si lascerebbe piantare senza protestare;
  2. è difficile vivere – o anche solo pensare di farlo – con una creatura estinta, che i più ritengono preistorica, e di cui si sa ben poco;
  3. sfamare questo coso è complicato. Di certo non posso andare al supermercato e comprare la Purina per i Labrador; rischio di avvelenarlo, e poi chi glielo spiega al portiere perché ho un cadavere di dodo in casa?

Che poi, ammesso che volessi tenerlo a vivere con me, il pennuto non parla e io non so come prendermene cura. Quanto vorrei avere Piero Angela sottomano, in momenti come questo…

Intanto, mentre valuto come chiedere aiuto senza che mi si faccia il TSO, lo tengo qui con me, nella speranza di capirci qualcosa. Cerco di intuire le sue abitudini: appena arrivato gli ho chiesto “Be’, ma tu dormi, no?”. Mi ha fissato. A lungo. Molto a lungo. Poi, mentre le stagioni si susseguivano fuori dalla mia finestra e i miei capelli si imbiancavano, ha smesso di fissarmi e si è messo a zompettare per la stanza, in preda a una crisi indefinita, con passi rapidi accompagnati da versi che vorrei poter registrare.

All’improvviso, si è fermato al centro e lentamente si è accovacciato. Un lampo mi ha attraversato il cervello: l’ho afferrato di colpo, sollevato – quanto il suo peso mi permetteva – e portato in bagno mentre gridavo “FERMOFERMOFERMOFERMOOOO!”. Giusto in tempo. Avrei avuto la casa piena di escrementi dòdici.

La storia dello scarico deve essergli piaciuta, perché è rimasto a fissarlo tutto il pomeriggio, affascinato, cercando di azionarlo prima con un’ala, poi con una zampa. Un tonfo mi ha fatto capire che si era ribaltato in orizzontale: non aveva valutato che se sollevi una zampa così in alto e non hai l’estensione di Carla Fracci, perdi l’equilibrio e cadi. Ore dopo – intanto ho una vita, non potevo restare accanto al water con un dodo testardo – l’ho sentito gioire. Almeno credo. Sentivo un “Blblblblblb” dal tono felice; l’ho trovato che, compiacendosi, scaricava col becco e poi mi guardava tronfio. Se avesse appena salvato il mondo sarebbe stato meno fiero.

L’ho portato fuori dal bagno prima che consumasse le riserve idriche dell’intero paese. Intanto, il fatto che avesse imparato ad usare il bagno mi aveva talmente sconvolto che, in un momento di estremo ottimismo, ho inziato a ripetergli “BA-GNO” come si fa con i bambini. “Prova a dirlo, BA-GNO. Su, ripeti con me, BA-GNO”. Mi ha fissato a lungo. Di nuovo. Altre stagioni si sono susseguite. Lentamente – alle volte sembra un bradipo, più che un dodo – Si è avvicinato. Ha inclinato la testa più volte. Poi ha aperto il becco e, copiando la mia cadenza, ha detto “BL-BL!”. Mi ha leccato la faccia e se n’è andato a girare per la stanza, sorridente.

Vivo con un dodo che usa il water e non parla. Vivo con un dodo che dorme tra i miei vestiti – di questo parleremo nella prossima puntata. Vivo con un dodo. Il TSO sembra sempre più vicino.

Le origini del mito

Questa storia inizia nel ‘500, quando i viaggi di esplorazione verso terre extraeuropee erano all’ordine del giorno, diffusi più dei funghi in autunno nelle valli bergamasche. Ben prima di fashion bloggers, dj, influencers e ph., il lavoro più alla moda era uno soltanto: l’esploratore.

“Ma quindi, tuo figlio, cusa l’é che fa?” “Be’, fa l’esploratore. In pratica, sai, viaggia molto, scopre nuovi territori, colonizza nuove popolazioni, scrive diari… vede cose, conosce gente. Un bel mestiere insomma, siamo fieri di lui!” “Ah. Quindi l’è disoccupato, eh?” “Eh. Andiamo a farci una bevuta, va'”.

In tantissimi partivano dall’Europa, carichi di speranze e progetti di grandezza, che si sarebbero tradotti in malattie, febbri, accoltellamenti, ammutinamenti e, di tanto in tanto, morte violenta.

Fu proprio durante questi viaggi esplorativi che, in quel delle Mauritius, dei viaggiatori incontrarono una creatura nota come dodo: un volatile non volante (come si può dire in questi casi? Camminante? Andante?), di circa 23 kg di peso, con un folto piumaggio, becco ricurvo e sguardo diversamente intelligente. Un incrocio tra un tacchino, un tucano e uno scaldabagno, insomma.

Gli esploratori non lo sapevano ancora, ma avevano incrociato il cammino di una creatura mitologica dagli immensi poteri, poteri così misteriosi che… non si capì mai cosa sapesse realmente fare. A causa delle sue scarse doti di adattamento e del contatto con gli umani, nel 1681 il dodo si estinse: così finiva la sua grandiosa avventura, prima ancora che potesse iniziare.

Almeno, questo era quello che credevo anch’io finché non me lo sono ritrovato davanti, in piume e ossa. Stavo uscendo per buttare la spazzatura quando, trecentotrent’otto anni dopo, un dodo è apparso alla mia porta in tutto il suo splendore: piume al vento, fisico grassoccio, becco ricurvo e sguardo di una triglia appena pescata. Chi avrebbe saputo resistere a tanta tenerezza?

E così, è da qualche giorno che l’ho adottato – o lui ha adottato me, stiamo ancora decidendo. Sicuramente pian piano verranno fuori i suoi poteri, le sue abilità, ma al momento ammetto di sapere molto poco di lui: non so neppure esattamente cosa dargli da mangiare. So che quando beve mi allaga la casa, che quando gli parlo inclina la testa e mi osserva basito, e che se non lo metto nella giusta direzione continua a camminare contro i muri, come in SuperMario Bros.

A pensarci bene, forse avrei dovuto lasciarlo sul pianerottolo…